Una giornata come tante


   Se Ashley Judd fa Clarice Starling, allora Hannibal Lecter dovrà farlo Gatto Silvestro. Così si legge sul fax appena arrivato in ufficio, firmato da Thomas Harris.
   Lo ritiro per darlo a Dino appena arriviamo a casa. La sua Mercedes con targa personalizzata DDL11 mi aspetta a motore acceso all’imbocco del vialetto del nostro bungalow. Sta passando un pullman pieno di giapponesi che scattano foto all’impazzata verso
di me, ma non stanno fotografando me, bensì l’ingresso del nostro ufficio, perché anni addietro era l’ufficio di Alfred Hitchcock. È qui che Truffaut gli ha fatto la famosa intervista di cinquanta ore che è poi diventata uno dei più bei libri che abbia mai letto, Il cinema secondo Hitchcock, che se non l’avete letto, vi consiglio di farlo perché ne vale la pena. Dino e Martha sono già in macchina, lui sta leggendo il giornale. Salgo davanti. 
   La S320 blu attraversa il lot della Universal a lentezza esasperante. Per fortuna appena fuori dal cancello riprende una marcia normale. Stiamo tornando a casa De Laurentiis a pranzo.    Oggi fa un caldo micidiale. Le palme sono immobili. Chris guida attentissimo alla strada, senza batter ciglio. Con la coda dell’occhio vedo Dino, dietro di lui, concentratissimo sulla Gazzetta. La moglie sospira. Non la vedo perché è alle mie spalle, ma capisco che sta per dire qualcosa.
   “Ho trovato dove fare il party per le bambine,” dice.
   “Ah, e dove?” chiede il marito voltando pagina.
   “Nel parco della scuola.”
   Lui non dice nulla. Io mi fingo rapita da un articolo su USA Today, per lasciargli un minimo di privacy. 
   “Non è stato facile ma alla fine sono riuscita a convincere il preside. Gli faremo un bel regalo," continua Martha. "Ho già mandato gli inviti. Saremo in duecentocinquanta." 
   E Dino, imperturbabile, senza alzare gli occhi dal giornale: “Duecentoquarantanove, perché io non vengo”. 
   Scoppio a ridere. (Eh sì, lo so, non avrei dovuto, ma non sono riuscita a evitarlo.) Do un’occhiata fugace a Dino, che mi lancia uno sguardo complice e ride anche lui, prima di tornare al suo articolo. Poi mi giro verso Martha con un sorriso comprensivo. Ci vuole pazienza con quest’uomo e devo riconoscere che lei ne ha tanta. Proprio in questo momento Chris fa una frenata brusca ed entrambe urliamo dallo spavento. 
   Dino non fa una piega, invece, continuando a leggere imperturbato. 
   Beverly Estate. La Mercedes percorre la salita fino al grande cancello d’ingresso con il leone di pietra, lo oltrepassa e prosegue lungo il viale alberato. L’asfalto è ancora bagnato dall’acqua che le canne d’irrigazione hanno distribuito sul parco durante la mattinata.
   “Vediamo ‘sto fax,” dice Dino entrando in casa e dirigendosi dritto verso il tavolo rotondo in salone senza salutare nessuno. Ha un bellissimo studio al piano di sopra, con una scrivania enorme e una parete a vetri che dà sulla piscina e da cui si gode la vista di tutta downtown, ma non lo usa mai. Proprio vero che chi ha il pane non ha i denti. Lo seguo e quando si siede gli passo il fax di Tom. Lui lo legge e ride. 
   “Ma che c’hanno tutti contro Ashley Judd?” dice.
   “Me lo chiedo anch’io. Comunque a Tom non va bene nessuno, persino di Jodie Foster dice che nel Silenzio degli innocenti brillava alla luce di Anthony Hopkins.”
   “Infatti ha ragione.”
   Siamo ancora in alto mare con la scelta dell’attrice. Gwyneth Paltrow vorrebbe fare questo film a tutti i costi, ma nessuno a parte Dino la vuole (non so cosa sia successo nel frattempo, visto che inizialmente solo io avevo messo il veto, anche se nessuno lo sapeva a parte Dino). Angelina Jolie vorrebbe farlo pure lei, e lo stesso Winona Ryder a Kate Winslet. La Swank ha detto di no, invece, perché non se la sente di mettersi in competizione con Jodie Foster, cosa che sarebbe perfettamente comprensibile anche per tutte le altre. Kate Blanchett accetta ma solo se cambiamo il nome della protagonista. Dino ha provato a prendere in considerazione la cosa, ma Tom Harris gli ha mandato un fax dicendo che se cambiavamo il nome di Starling lui si chiamava fuori.
   Dino mi restituisce il fax. Lo metto nella valigetta.
   “Senti bella, hai letto lo script che ti ho dato ieri?” 
   “Sì dottore.”
   “Com’è?”
   “Orrendo.”
   “Okay, mettiamoci a lavorare, allora.”
   “Non vuole neanche sapere di cosa parla?”
   “Eh, no, se è orrendo, che me lo dici a fare?”
   “Ma magari a lei piace.”
   “Mi stai offendendo?” dice lui, ma in tono affettuoso.
   “Ma no, però insomma, a me non piaceva neanche quello di Ferrini…”
   “Nemmeno a me, infatti lo sto facendo riscrivere quel copione…”
   “Sì ma a lei non faceva così schifo come faceva schifo a me.”
   “Va beh, dimmelo allora, dai!” taglia corto, avendo capito che così facciamo prima: “Di che parla?”
   “È la storia di un gruppo di ragazzi che crescono insieme e poi prendono ognuno la propria strada, ma a un certo punto poi si ritrovano per un funerale e…”
   “Che è, il remake del Grande freddo?
   “No, questo ha un taglio più psicologico e un respiro meno ampio. Non ci sono scene corali. E anche la struttura è diversa, circolare, si apre con un vecchio che racconta un episodio…”
   “Va beh, ho capito, un art-movie. Non mi interessa. E poi lo sai che non mi piacciono i funerali. Dai, mettiamoci a lavorare.”
   A volte penso che potrei non leggerle nemmeno, le sceneggiature. Basterebbe dire che non mi piacciono. Pensate quanta fatica risparmiata. Il fatto è che ho sempre paura che mi sfugga il capolavoro del decennio.
   Mentre lavoriamo, suona il telefono. È la linea personale di Dino. Hanno almeno 10 linee in casa e su tutti gli apparecchi ci sono le iniziali dei membri della famiglia con i relativi numeri e la lucina corrispondente che si accende. 
   “Elizabeth, guarda se è per me.”
   Guardo. “Sì doc, è per lei.”
   “Ti dispiace rispondere tu? E non stare mezz’ora al telefono.”
   Vorrei precisare che non sono io che sto al telefono ma gli altri che mi ci tengono, ma sarebbe inutile. Sollevo la cornetta. 
    “Hallo? Chi parla? Prego? Mi scusi, non si sente niente…”
    “Sarà Tony Hopkins,” dice Dino.
    “Ah, ciao Tony, sì è qui, te lo passo subito!”
    Dino mi mostra i palmi per dire ‘Hai visto che avevo ragione?’ e prende il telefono. Una conversazione velocissima in cui Dino dice solo ‘yes yes, sure, sure, yes, no problem’, e riattacca. Gli chiedo cosa gli abbia detto Hopkins.
   “E che ne so,” risponde. “Parla pianissimo, Tony. Non si capisce niente. Gli dico sempre di sì sennò facciamo notte.”